№ 157

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Outcome vs Output: comprendere la differenza una volta per tutte

6:48 di lettura — La sorprendente relazione tra Goal Setting e Filosofia. Applichiamo Hegel al business per scrivere buoni OKR.L’importantissimo ruolo del middle-management
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Hey buon lunedì.

Chi si avvicina agli OKR sente subito ronzare nell’aria questo modo di dire “bisogna avere una mentalità outcome driven” oppure “non devi pensare all’output, ma all’outcome che vuoi ottenere”…

Sbaglio?

All’inizio è un po’ spaesante soprattutto quando il coach – non certificato – bacchetta ogni volta la classe spiegando come un libro stampato cosa vuol dire outcome e output. 

In modo troppo semplice si potrebbe dire così:

  • L’outcome è l’effetto che si vuole ottenere
  • L’output è il prodotto delle attività

Per esempio

  • L’outcome è l’ottimizzazione delle campagne
  • L’output sono il report che bisogna produrre oppure la quantità di creatività da testare

Basico, ma come dicevo, troppo semplice per essere di qualche efficacia tanto che si rischia di avere effetti indesiderati, due su tutti:

  1. cercare outcome in aree del business inutili e disconnesse dalla strategia;
  2. incapacità di influenzare il risultato pur di non prendere in seria considerazione gli output da migliorare.

Essere snob con gli outcome e con gli output, oltre a essere inutile e anche pericoloso perché non permette di inquadrare il percorso più diretto per raggiungere gli obiettivi strategici.

Goal setting e filosofia 

La O di OKR sta per obiettivo ma potrebbe benissimo stare per outcome. Descrive in maniera qualitativa – cioè senza numeri – l’area di business da migliorare per assicurare la corretta esecuzione della strategia.

La K e la R stanno per key results, cioè i risultati chiave, non sono altro che KPI sotto steroidi. Non rappresentano semplicemente delle metriche da tenere sotto controllo, ma il miglioramento quantitativo e misurabile necessario per avere la prova inconfutabile che l’obiettivo sia stato raggiunto.

Devi sapere che – nel business e nella vita – è possibile misurare qualsiasi cosa, anche gli intangibles. Nel mio libro dedico un paio di paragrafi a spiegare in dettaglio come fare a misurare risultati apparentemente immisurabili. 

Se un fenomeno esiste è sempre possibile misurarne il suo effetto. Al contrario, se ciò non è possibile non si può dire che sia accaduto realmente, altrimenti staremmo parlando di magia!

Detto questo, la spiegazione più bella e puntuale, di che cosa è un outcome di cosa è un output ce la dà Hegel. Si proprio il filosofo che dice: 

«Quando un fenomeno cresce da un punto di vista quantitativo non si ha solo un aumento in ordine alla quantità, ma si ha anche una variazione qualitativa radicale.»

Spiegato semplice semplice.

Se qualcosa succede in piccola misura, passa inosservato. Se qualcosa succede in dimensioni molto più grandi, l’effetto è evidente perché cambia lo scenario.

Facciamo un esempio.

Hegel dice, se perdo un capello, nessuno se ne accorge. Ma se li perdo tutti, rimango pelato! La quantità del fenomeno aumenta così tanto che cambia anche la qualità estetica della persona.

Un altro esempio.

Se cade una goccia, non succede niente. Ma se arriva un alluvione, il paesaggio sarà radicalmente diverso! 

Applichiamo Hegel al business per scrivere buoni OKR

Ecco un OKR banale eppure molto frequente.

Obiettivo: diventare leader di mercato.
Key Result: aumentare le vendite del 10%

Qual è il problema?

Aumentare le vendite del 10% non ti farà diventare leader di mercato, a meno che tu non sia al secondo posto separato dal leader di proprio quel 10%. 

Quel piccolo incremento sarà come la singola goccia che cade. Nessuno se ne accorgerà!

Se vuoi diventare leader di mercato devi aumentare le vendite del 1000%. Allora sí che il panorama del mercato sarebbe notevolmente diverso e tutti ne avrebbero evidenza.

E il numero delle vendite cos’altro è se non l’aumento dell’output dell’organizzazione

Premiamo pausa, facciamo un altro esempio.

Obiettivo: Il traffico organico sarà la nostra prima fonte di clienti.
Key Result: # di articoli pubblicati al mese > 300

Questo risultato chiave è corretto? La risposta è: dipende.

Partiamo da una regola generale: un obiettivo non si scrive mai con un solo KR altrimenti sarebbe un KPI con un titolo

L’OKR perfetto si scrive con minimo 2 KR e nei programmi di STRTGY – e nel libro – investo una considerevole quantità di tempo nello spiegare le tecniche per farlo con precisione ed efficacia. 

Due buoni KR potrebbero essere:

KR 1: # di articoli pubblicati al mese > (30) 300
KR 2: # SQL da visitatori organici al mese > (6) 30

Pubblicare 300 articoli al mese  è sicuramente un output perché rappresenta la misurazione della produzione, ma incrementare la produzione di articoli di un ordine di grandezza – da 30 a 300 – potrebbe portare a un cambiamento significativo della prima pagina di Google tale per cui il traffico organico potrebbe davvero diventare il primo canale di acquisizione .

Il secondo KR – è una metrica lagging delle processo di acquisizione – ci farà capire che abbiamo scelto le keyword corrette e che quindi abbiamo incrementato l’output di produzione di articoli che i nostri potenziali clienti trovano utili e che non abbiamo semplicemente scritto articoli per il puro bisogno di incrementare il numero.

Un buon OKR fornisce sempre indicazioni sulla direzione e sul volume dei risultati.

Cosa ci insegna questo?

Che il modo migliore per raggiungere un obiettivo è aumentare sproporzionatamente la produzione di output, perché ci permette di materializzare lo scenario a cui aspiriamo. 

Perché è importante? 

Se i team non sono in grado di identificare qual è l’output sul quale concentrare le energie si rischierà di disperderle di non raggiungere l’obiettivo. 

Tornando all’esempio precedente: è davvero raro che pubblicando un solo articolo si riesca a incanalare quella quantità di traffico che ci permetta di raggiungere l’outcome desiderato. Così come vendere solo il 10% in più non renderà nessuna azienda un leader di alcun settore!

L’importantissimo ruolo del middle-management

Chi muove davvero le aziende, sono sì le persone, ma tra queste ce ne sono alcune che le muovono di più e sono spesso sottovalutate: il middle management.

Mi riferisco a tutti coloro che si trovano al di sotto del livello della dirigenza e al di sopra degli junior. È grazie a loro che le attività vengono eseguite nel giusto volume e nella giusta quantità.

Lo diceva anche Andy Grove nel suo libro High Output Management: «il manager è responsabile dell’incremento dell’output della parte di organizzazione sotto il proprio controllo», cioè del proprio team e dei fornitori.

Per raggiungere gli obiettivi strategici – cioè gli OKR – è importante che i manager si adoperino per incrementare di diversi ordini di grandezza i volumi di output da produrre. Che siano scatole da spedire piuttosto che consulenze da eseguire o ancora installazioni da attivare poco cambia.

Lavorando sui sistemi, ottimizzando processi, coordinando persone e tecnologie, il loro compito non è soltanto un aumento momentaneo, ma un incremento sostenibile della superiorità produttiva.

Torniamo a Hegel che dice «nel futuro (cioè il nostro presente) la ricchezza non sarà più determinata dai beni, ma dagli strumenti, perché i beni si consumano, mentre gli strumenti sono in grado di costruire nuovi beni»

Infatti la ricchezza in azienda non è rappresentata dalla finanza, che è un fine e non un mezzo, ma dalla capacità di produrla attraverso i suoi strumenti ovvero il suo modello di business, i suoi asset compresi dati, algoritmi macchinari, brevetti, processi produttivi, tutto ciò che permette di trasformare input in output.

Non abbiamo bisogno solo di leader visionari ma di manager che siano in grado comprendere la strategia di tradurre il cambiamento nell’aumento degli output di cui c’è bisogno per materializzare il futuro.

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