№ 7

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Alta concentrazione

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Hey, buon lunedì!

9:00 Dovresti arrivare in ufficio

9:45 Finisci di leggere le mail del weekend, anche se le conosci tutte perchè leggi la mail di lavoro sul telefonino, approfondisci le newsletter, poi apri Facebook, Instagram e Linkedin in sequenza. Per rimanere aggiornato sul weekend di chi non conosci, dei tuoi colleghi e sul Coronavirus.

10:00 Primo meeting o serie di telefonate

11:30 Finisce il meeting che doveva durare un ora o le telefonate che dovevano essere brevi

15 minuti per decomprimere

11:45 Rispondi alle mail che sono arrivate mentre non potevi leggere

12:15 Ora puoi concentrarti… No: arriva un’urgenza!

13:00 Finisce l’urgenza

Se ne parla dopo pranzo.

Quante volte la tua settimana è iniziata così?

Deep Work

Essere concentrati è diventato un grande vantaggio competitivo. Il rumore di fondo che proviene dalla cattive routine del team e dalle tue cattive abitudini mina costantemente la tua produttività.

Una ricerca che trovi nei link (si lo so è americana), il “Global Agency Productivity Report by Float” mostra un dato sconcertante, in media riesci a concentrarti per soli 2 ore al giorno.

In pratica la distrazione è responsabile per il 75% dei costi. Siamo pagati per distrarci.

Obiettivi non chiari, mancanza di direzione e di motivazione fanno si che ogni volta che ti metti al computer non sai da dove iniziare ma soprattutto è difficile prioritizzare quello che devi fare.

Non preoccuparti, tu hai soltanto una parte della responsabilità. Diciamo 50/50.

Se da una parte è importante che impari ad auto gestirti, dall’altra devi superare la resistenza interiore a farlo. È la differenza tra un professionista e un amatore.  Si lo so è una cosa grossa, ci torno sopra tra un paragrafo.

L’altra è della cultura del tuo team. Se tutto è importante, niente è importante. Qualcuno si aspetta che tu faccia certe cose, ma il bello è che non te le ha mai dette. Si chiama Managing by Expectation, non funziona e ne ho parlato nella nota N. 5

In traiettoria di collisione

Due figure più di ogni altre stanno collidendo nelle aziende che mettono l’innovazione in cima alle proprie priorità.

Succede in tutte le professioni.

Non molto tempo fà, il fotografo era colui che aveva la macchina fotografica. Chiamavi un fotografo perché era l’unico in grado di produrre un’immagine con una determinata qualità tecnica (non parlo di qualità artistica). Il fotografo sapeva come usare gli strumenti.

Se volevi una fototessera il fotografo aveva il fondo bianco e la Polaroid con il tuo ritratto ripetuto quattro volte. Pagavi anche quelle in cui sei venuto male.

Se invece volevi delle foto al tuo matrimonio, arrivava con l’aiuto fotografo e la macchina carica di flash cavalletti e pellicole.

Il fotografo aveva gli strumenti che sarebbe stato troppo costoso per te acquistare.

La fotografia oggi non è nemmeno più digitale, è computazionale. Il sensore registra dei dati e un un’intelligenza artificiale opportunamente addestrata a costruire immagini che, sulla base di alcuni segnali forniti dagli ingegneri ma recuperati dal web, sono giudicate “belle foto”.

Così l’algoritmo genera una fotografia impossibile ma bellissima per noi umani.

Per questo la mia fidanzata non vuole che le faccia le foto con il mio Android ma vuole usare il suo iPhone. È meglio. Apple è un fotografo migliore.

Non devi avere un banco ottico per essere Avedon. Devi avere un algoritmo.

Designers ↔ Developers

Sono due che per come gli abbiamo conosciuti devono saper usare bene i loro strumenti.

I designer sanno usare Sketch e Figma (qualcuno XD e spero più nessuno Photoshop e Illustrator ma ho sentito di qualche CEO che fa mockup in Powerpoint) e gli sviluppatori il linguaggio di programmazione più adatto alle esigenze (front-end e back-end).

Ma oggi ai designer non viene più chiesto di conoscere lo strumento.
Ai designer viene chiesto di mettere in condizioni il business di raggiungere i propri obiettivi. Di incanalare perfetti sconosciuti in un funnel alla fine del quale qualcuno pagherà un fiorino per passare oltre. Di oliare l’attrito che si forma tra i problemi della vita di tutti i giorni e le possibilità offerte dai nuovi modelli di business.

Oggi un designer ha accesso a tools no-code. A intere suite di progettazione dove senza conoscere minimamente una linea di codice puoi disegnare letteralmente un sito o un’applicazione connettendo dati e attivando funzionalità che solo 2 anni fa avrebbero richiesto giornate di sviluppo.

Questo porta i developers a spostarsi un nuovo livello di astrazione dove il codice produce un nuovo effetto estetico. Non deve soltanto funzionare ma emozionare. Aiutare e prevedere invece di attendere ed eseguire. A semplificare facendosi carico della complessità. Insomma a diventare dei designer.

Professionisti veri

Se hai letto “The War of Art” di Steven Pressfield hai già capito dove voglio arrivare. Ha la migliore definizione di cosa vuol dire essere un amatore o un professionista. Rubo, adatto ed espando, quindi scegli da che parte stare.

L’amatore gioca pochi giorni alla settimana. Il professionista gioca 24×7.

L’amatore lo fa per piacere. Il professionista dedica la propria vita.

L’amatore attende l’ispirazione. Il professionista programma il suo lavoro.

L’amatore si distrae. Il professionista ha un metodo per non farlo.

L’amatore ha fretta. Il professionista è paziente e ordinato.

L’amatore si identifica nello strumento. Il professionista lo utilizza per fare il lavoro.

L’amatore non ha limiti. Il professionista riconosce i propri e chiede aiuto.

L’amatore diventa obsoleto. Il professionista si reinventa e continua il suo viaggio.

L’amatore ha paura di un’altro amatore. Il professionista eleva gli altri al proprio livello.

A prescindere da quale sia il grado di maturità della tua organizzazione (se non lo conosci scarica lo STRTGY Maturity Index, vai sezione File del nostro Gruppo su Facebook The STRTGY Community↗), nessuno ha bisogno di amatori.

Buon lavoro!

Per qualsiasi cosa, clicca rispondi, sono qui!

Ci sentiamo prestissimo!

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