Alla fine di questo articolo ti lascerò altri suggerimenti di film su Netflix riguardanti la business strategy.
Puoi trovare ulteriori consigli nell’edizione di Halloween di questa newsletter, dove ho raccolto film su storie aziendali reali e crisi finanziarie trasformati in pellicole.
BlackBerry il film e il libro
Se stai cercando qualcosa di interessante da vedere questa sera, ti consiglio vivamente BlackBerry, il film di Matt Johnson, disponibile su Netflix, che racconta della rapida ascesa, e altrettanto rapida caduta, di Research In Motion (RIM), l’azienda che ha creato il famoso telefono con la tastiera integrata.
Non si tratta di un documentario, ma di una storia avvincente su come questa azienda sia passata dal dominare il mercato con il 40% delle quote della telefonia mobile, fino a perdere completamente la sua posizione. Oggi, BlackBerry si è completamente trasformata e si occupa principalmente di cyber security, Internet of Things,software e servizi di sicurezza per aziende e istituzioni governative.
La vicenda di Research In Motion è un esempio classico del dilemma dell’innovatore e di disruption: il successo iniziale genera una tale sicurezza da far trascurare i segnali di cambiamento, rimanendo rigida, legata a un modello di business con pochi grandi clienti, danneggiando così la cultura aziendale e la capacità di innovare come è successo dopo il lancio dell’iPhone.
L’intera storia ruota attorno alle figure diametralmente opposte dei due co-CEO. Il film è ispirato al bellissimo lavoro contenuto nel libro Losing The Signal di Jacquie McNish nel quale l’autrice affronta con particolare dettaglio i temi legati al loro approccio molto diverso nel condurre l’azienda che, se pur inizialmente è stata un vantaggio, ha portato prima a una confusione strategica e poi alla disfatta.
L’ascesa di RIM e del BlackBerry
L’azienda nasce nel 1984 quando Mike Lazaridis, studente di ingegneria elettrica all’Università di Waterloo in Canada, insieme al suo amico d’infanzia Douglas Fregin.
Curiosità: nel film, Douglas Fregin è interpretato dal regista stesso ed è il ragazzo fricchettone con la fascia sui capelli, appassionato di videogiochi e alla guida di una Honda Civic con l’etichetta “la mia altra macchina è una Porsche”.
Uno dei progetti più rilevanti di Research in Motion era un dispositivo ibrido che fondeva un cerca persone e un telefono ed era capace di inviare e-mail: una grande innovazione per l’epoca!
Bisogna pensare che all’epoca la rete telefonica non prevedeva internet e dati; c’erano quindi forti limitazioni tecniche ma la loro abilità ingegneristica li rese pionieri nei dispositivi come cerca persone e pagamenti wireless.
Mike era la mente tecnica dietro questo progetto; nel film è rappresentato come un nerd concentrato sul prodotto e innamorato delle sfide tecniche. La sua filosofia progettuale era quella di creare un dispositivo sicuro, affidabile e intuitivo.
Particolarmente interessante è la fase di prototipazione: nel film Mike e Douglas raccolgono pezzi di giocattoli ed elettronica per costruire il primo telefono da mostrare durante un board meeting. L’innovazione risiedeva nella presenza di una tastiera QWERTY fisica sotto lo schermo, permettendo una scrittura veloce che rappresentava un cambio di paradigma nell’usability. Una scena memorabile mostra il CEO di Verizon con l’oggetto tra le mani senza sapere come usarlo; Mike gli suggerisce di provare a scrivere con due pollici, esattamente come molti oggi digitano su WhatsApp. In quel meeting nasce anche il nome BlackBerry.
Le (vere) mosse strategiche di BlackBerry dalla fondazione al fallimento
Passiamo per un momento dal film alla realtà per ricostruire le mosse strategiche di RIM dagli inizi fino al pivot finale perché penso che alcune siano particolarmente brillanti e possano essere di ispirazione.
1984 – 1987 · I primi passi universitari
L’azienda viene fondata con circa 15.000 dollari canadesi vinti a un concorso di scienza e integrati da prestiti familiari – serve per progettare display a LED e sistemi di test per computer IBM. La strategia iniziale era quella di trovare “nicchie ad alta tecnologia” che i big non considerano redditizie.
RIM passa da essere una start-up nata in un garage a essere un pioniere del wireless data: sviluppa hardware, software di rete e compressione proprietari, chiude partnership con operatori mobili e getta le basi tecniche (Mobitex + crittografia + tastiera mini) che esploderanno tre anni dopo nel primo BlackBerry vero e proprio.
1988 – 1991 · La svolta “dati wireless”
RIM individua nella rete Mobitex di Ericsson (all’epoca usata per i cercapersone) un’opportunità: inviare non solo messaggi brevi ma veri dati digitali. Costruisce così un convertitore di protocollo che consente a laptop e terminali di spedire pacchetti attraverso Mobitex. Il progetto ottiene sovvenzioni del governo canadese e un contratto pilota con RAM Mobile Data negli Stati Uniti. È qui che matura l’idea di “e-mail portatile”.
Questo è importantissimo, perché sarà alla base del prodotto di maggior successo, ovvero quello di poter inviare messaggi di testo illimitati sulla rete. Un antesignano di WhatsApp!
1992 – 1996 · Modem e primi fondi istituzionali
Nel 1992 l’ex consulente Jim Balsillie investe 125 000 $ di tasca propria, ottiene una quota di RIM e diventa co-CEO accanto a Mike Lazaridis: la sua capacità negoziale apre le porte a capitali e contratti con grandi aziende.
Per dimostrare la fattibilità commerciale, RIM lancia un modem PCMCIA da inserire nei notebook: i tecnici sul campo possono ora connettersi ai server aziendali senza linea fissa. Il prodotto conquista clienti corporate e convince il venture canadese Working Ventures a investire 5 milioni di dollari. Con quei fondi Lazaridis apre un reparto di R&D dedicato alla compressione dati e alla crittografia: mattoni indispensabili per la futura push-e-mail.
Le collaborazioni con Bell Northern Research e D-Link permettono a RIM di affinare stack software e antenne miniaturizzate. A gennaio 1996 la società raggiunge 100 dipendenti e presenta il prototipo dell’Inter@ctive Pager 900: il primo cercapersone che non solo riceve, ma invia messaggi digitati su una micro-tastiera. Il dispositivo ottiene la certificazione della Federal Communications Commission americana nell’estate e viene adottato in beta da Morgan Stanley e dai Servizi Segreti USA.

1996 – 2002 · Costruire il fossato
Nei primi sei anni RIM si concentra sulla creazione del cosiddetto moat.
Che cos’è il moat in strategia?
Immagina un castello medioevale: tutto attorno c’è un grande fossato pieno d’acqua e magari pure di coccodrilli. Il fossato (“moat” in inglese) serve a tenere lontani gli invasori: più è largo e profondo, più è difficile assaltare il castello.
Nel linguaggio del business, “the moat” è la stessa cosa, solo che al posto dell’acqua ci sono fattori che rendono dura la vita ai concorrenti. Un’azienda con un buon moat ha qualcosa che gli altri non riescono a copiare in fretta—o che costerebbe troppo copiare.
Il moat di RIM
Per RIM il moat parte con il pager bidirezionale Inter@ctive 900 e, subito dopo, una piattaforma Java proprietaria con crittografia end-to-end che conquista governi e banche sensibili alla sicurezza.
Il colpo di genio è però il BlackBerry Enterprise Server: se l’IT compra il server, deve dotare tutti i dipendenti di un dispositivo compatibile, generando costi di migrazione proibitivi e un lock-in quasi totale. L’accordo di revenue-sharing con gli operatori trasforma il servizio di push-email in un nuovo stream di revenue per i carrier, che iniziano a promuovere BlackBerry al posto di Nokia.
Nel 2002 arriva la tastiera QWERTY miniaturizzata: scrivere e-mail sul telefono diventa più rapido che sul laptop. Nasce la tribù dei “CrackBerry” perché scrivere con la tastiera era così piacevole da creare dipendenza.
Il risultato è un ecosistema fatto di device, software e rete che nessun concorrente riesce a colmare nel breve periodo.

2003 – 2006 · Scalare con l’hardware
Consolidato il vantaggio tecnologico, la coppia Lazaridis-Balsillie impone una marcia finanziaria rigorosa e una roadmap hardware annuale (serie 7000, poi 8000) che permette di spremere la catena di fornitura e tenere il gross margin sopra il 50%.
L’IPO sul NASDAQ e un piano stock-option aggressivo moltiplicano il valore delle azioni in due anni, e permette di attrarre talenti in Ontario sottraendoli ai grandi come Google e Nokia. Scoppia lo scandalo back-dating, ovvero quella pratica scorretta di retrodatare i contratti di assunzione in periodi in cui il titolo valeva meno, regalando ai dirigenti un guadagno certo non registrato nei libri contabili. Sarà proprio grazie ai messaggi criptati e indecifrabili sui server aziendali che Balsillie non finirà in carcere.
In questo periodo BlackBerry Messenger viene reso gratuito per entrare nel segmento consumer senza intaccare i contratti enterprise e il network effect esplode attraendo 10 milioni di utenti in 18 mesi. RIM compra i brevetti SSL di Certicom, blindando la crittografia e innalzando ulteriormente le barriere d’ingresso. La crescita rimane solida, ma il focus sull’hardware prepara il terreno alla miopia successiva.

2007 – 2009 · L’iPhone fa schifo
L’arrivo dell’iPhone nel 2007 coglie RIM impreparata: la leadership commenta pubblicamente che “nessuno vuole un telefono senza tastiera” e che è “profondamente difettoso fin dal primo giorno” a causa di quelle che riteneva essere le sue debolezze: la durata della batteria, la sicurezza (inferiore agli standard BlackBerry) e l’assenza di una tastiera fisica, considerata irrinunciabile.
Inizialmente la risposta all’innovazione è incrementale, cioè, cercano di migliorare il prodotto esistente lanciando BlackBerry Bold con una sorta di bottone centrale che funzionava da trackpad, ma non genera wow-effect.
Per porre un rimedio alla mancanza di hype nasce “Project Thunder”, che poi diventerà il modello Storm: un touchscreen con feedback meccanico lanciato in fretta e furia, afflitto da bug così grossi che tutti lo restituiscono e causano a RIM enormi perdite economiche.
Per fronteggiare Apple che lancia l’App Store, viene presentato BlackBerry App World, ma l’SDK chiuso e la revenue-share poco favorevole scoraggiano gli sviluppatori: l’ecosistema di applicazioni resta anemico.
Questi anni segnano il passaggio da innovatore di mercato a follower che rincorre funzionalità altrui, perdendo il controllo della narrativa con consumatori e partner.

2010 – 2013 · Reboot fallito
Lazaridis progetta il primo tablet che chiama PlayBook, che inspiegabilmente esce senza client e-mail e per dargli un senso serve connetterlo a un BlackBerry, condannandolo al flop.
BlackBerry aveva due strade: restare un’azienda di telefoni o diventare un fornitore di servizi. Il Co-Ceo Jim Balsillie voleva vendere la loro famosa “push-email” agli operatori telefonici concorrenti, così da guadagnare con il software invece che con l’hardware. Il consiglio di amministrazione disse di no, e questo peggiorò i litigi fra i due co-fondatori. Subito dopo, BlackBerry dovette pagare 612 milioni di dollari per chiudere una lunga causa sui brevetti con la piccola società NTP: gran parte della cassa sparì e mancarono soldi per innovare.
Quando Thorsten Heins divenne CEO, licenziò migliaia di persone per risparmiare e riuscire a lanciare il nuovo sistema operativo BB10. Purtroppo gli smartphone Z10 e Q10 uscirono nel 2013, due anni più tardi del previsto, e senza l’appoggio forte degli operatori telefonici. Nel frattempo gli utenti erano già passati in massa a iPhone e ai telefoni Android, dove c’erano molte più app. Così BlackBerry si ritrovò con pochi clienti, poche app e poco tempo per recuperare.

2014 – 2020 · Addio smartphone
Con l’arrivo di John Chen, celebre per aver risanato Sybase così bene che nel 2010 venne acquisita da SAP per integrare la sua tecnologia mobile nelle piattaforme aziendali – BlackBerry smette di costruire telefoni in proprio e si concentra sul software di sicurezza.
I processo di ristrutturazione azienda richiede un taglio di oltre metà dei costi operativi e l’affidamento della produzione hardware a Foxconn con il quale lancia il BlackBerry Priv, uno smartphone basato su una particolare versione di Android super-blindata e con tastiera a scomparsa, ma anche questo non funziona.
Nel 2018 compra la società di cybersecurity Cylance per portare l’IA nei suoi prodotti e vende molti brevetti a Catapult IP, ottenendo 600 milioni di dollari che finanziano l’espansione del business SaaS. Così BlackBerry abbandona la scena smartphone e rinasce come specialista “security-first”.

Geek vs Manager
Una delle cose che ho apprezzato del film è il modo in cui viene evidenziato l’impatto della cultura aziendale sui risultati.
Da un lato, c’è Mike, un genio dell’ingegneria che difende strenuamente i suoi principi di progettazione ed è innamorato dei problemi che risolve. Dall’altro, c’è Jim, un businessman agguerrito, uno squalo capace di negoziare su qualsiasi cosa e ottenere la gestione di importanti affari.
All’inizio, questa dinamica funziona bene, permette di iniettare capitali nell’azienda e incanalare la creatività del team ma, con il tempo, questa energia diventa centrifuga: crescono gli strati di burocrazia, la pressione sui target trimestrali e le riunioni si riempiono di slide degli analisti. Si creano così due fazioni: i geek difendono la perfezione tecnica mentre i manager vogliono numeri e risultati concreti, anche a costo di compromettere la qualità.
C’è una scena emblematica in cui Jim chiede a Mike di produrre un prototipo per un importante incontro del giorno successivo. Mike si rifiuta, sostenendo che avrebbe avuto bisogno di tempo per farlo bene, altrimenti non lo avrebbe fatto affatto. Quando Jim gli ricorda il detto che “perfetto è nemico del buono”, Mike risponde che “abbastanza buono è nemico dell’umanità”. Questa mania di perfezionismo, pur essendo segno di amore per le cose fatte bene in azienda, diventa il tallone d’Achille dell’organizzazione.
Nel libro si legge che all’interno della Research In Motion (RIM), il fondatore aveva instaurato una cultura secondo cui l’innovazione doveva provenire dall’interno, altrimenti non era considerata valida. Questo modo di pensare impedì loro di comprendere adeguatamente l’impatto dell’iPhone sugli utenti e sulla cultura di prodotto che stava cambiando, minimizzandolo e ridicolizzandolo. Così facendo, persero un’importante occasione per innovare.

Proteggere la cultura aziendale sembra essere una missione quasi impossibile, soprattutto quando si cresce rapidamente infatti ho apprezzato molto il ruolo di Doug, che lotta per preservare questo ambiente: sorseggiare caffè, scrivere codice, giocare ai videogame e mantenere a tutti i costi la Movie Night, la serata nella quale tutto il team guarda i film e porta sfortuna lavorare. Le scene di cameratismo e l’atmosfera appassionata sono spesso interrotte da una cultura manageriale tossica, basata su comando e controllo, che spegne gli entusiasmi e riporta tutti all’ordine.
Il risultato è un lavoro apparentemente più ordinato, ma che in realtà causa rallenta l’innovazione. Si nota il morale scendere, i team frammentarsi e l’azienda diventare più rigida proprio quando avrebbe bisogno di correre. Proteggere la cultura non è solo nostalgia per i primi giorni, ma una strategia di lungo periodo che, se fosse stata una priorità anche per i manager, avrebbe portato risultati radicalmente diversi.
Doug crede così tanto nella cultura che a un certo punto decide di mollare: si licenzia, lascia il suo ruolo e vende le sue quote nel momento di massimo valore. Si dice – piccolo spoiler – che nessuno conosca il suo patrimonio, ma che oggi Doug sia segretamente uno degli uomini più ricchi del mondo. Questo proprio grazie al fatto che ha abbandonato l’azienda quando non la riconosceva più come a dimostrare che una buon cultura aziendale paga sempre bene.
Il telefono che tutti avevano prima dell’iPhone
Il film è ricco di preziose lezioni di marketing e strategia aziendale. Per comprendere queste lezioni, dobbiamo esaminarle attraverso la lente del Job to be Done, un framework che aiuta a capire le vere motivazioni per cui le persone scelgono un prodotto temporaneamente per svolgere un lavoro specifico (job) ovvero per migliorare alcune dimensioni della propria vita e sostenere la sensazione di progresso. Questo approccio spiega non solo il successo di BlackBerry, ma anche la sua caduta.
Job numero 1 – Dimostrare prestigio
Jim è molto abile nel posizionare BlackBerry come uno status symbol. Adotta una tattica geniale: invita i suoi venditori a frequentare luoghi d’élite come campi da golf e locali di lusso, a essere ben visibili con il BlackBerry in mano, creando un’aura di mistero attorno a loro. Questo attira l’attenzione di coloro che vedevano nel BlackBerry il motivo del successo e prestigio e ne desideravano uno.
Job numero 2 – Privacy e sicurezza
Il secondo lavoro per cui il BlackBerry si era posizionato era garantire comunicazioni sicure e private grazie ai suoi protocolli criptati. Questo aspetto era particolarmente critico per aziende ed enti governativi che necessitavano protezione nelle conversazioni.
Job numero 3 – Efficienza
Ricorderai quanto fosse macchinoso scrivere messaggi con una tastiera numerica. Il BlackBerry è stato il primo telefono ad avere una tastiera fisica QWERTY, rafforzando così il suo posizionamento come strumento professionale.
Job numero 4 – Nuovo stream di revenue
Questo posizionamento unico funzionava anche per i carrier telefonici, che potevano offrire gli smartphone all’utenza business. Stan Sigman, CEO di AT&T, evidenzia la limitazione del modello di business con la frase a lui attribuita “c’è solo un minuto in un minuto”. BlackBerry ha aperto un mercato, grazie alle sue innovazioni tecnologiche, nel quale le compagnie telefoniche non vendevano più minuti di conversazione ma dati per email e messaggistica avanzata.
Job to be Done della competizione
L’arrivo dell’iPhone e di Android cambiò radicalmente il panorama perché si focalizzarono su “lavori” diversi, che si rivelarono più importanti per una fascia di consumatori molto più ampia: il mass market.
Apple si concentrò sul “lavoro” di “offrire un’esperienza utente mobile intuitiva, versatile e piacevole, integrando comunicazione, intrattenimento e accesso a un vasto mondo di applicazioni”. Le feature chiave come l’ampio display multi-touch, un sistema operativo fluido e l’App Store erano progettate per questo “lavoro”. Infatti Apple ridefinì il telefono come un computer tascabile personale non come semplice strumento di comunicazione professionale.
Google Android mirò a svolgere il “lavoro” di fornire una piattaforma mobile aperta, personalizzabile e accessibile a una vasta gamma di produttori e utenti, promuovendo un ecosistema di app diversificato e competitivo. La sua natura open-source permise una rapida diffusione su dispositivi di svariati produttori e fasce di prezzo.
BlackBerry, rimanendo ancorata ai “lavori” che aveva tradizionalmente soddisfatto (principalmente comunicazione sicura ed efficiente per l’enterprise), non riuscì a comprendere e ad adattarsi ai nuovi e più ampi “lavori” che il mercato di massa richiedeva.
La sua tastiera fisica, un tempo un punto di forza per il “lavoro” della digitazione efficiente, divenne un ostacolo quando il “lavoro” principale divenne la fruizione di contenuti multimediali e l’uso di app su ampi schermi touch. Analogamente, la sua sicurezza di livello enterprise, non era una priorità assoluta per il consumatore medio rispetto all’esperienza utente e alla ricchezza dell’ecosistema di app offerti dai competitor.
È importante ricordare che questo è il periodo in cui gli smartphone diventano accessibili a tutti, grazie alle compagnie telefoniche che iniziano a venderli in abbonamento con i dati inclusi. Di conseguenza, chiunque può permettersi un telefono che non è più riservato solo ai professionisti. Le aziende iniziano anche ad adottare politiche di bring your own device e non sorprende che le persone comuni preferissero un iPhone o un Android al BlackBerry.
4 lezioni strategiche
1. Innova il modello di business prima che il prodotto perda rilevanza
Quando un’azienda domina grazie a un prodotto iconico è naturale concentrare tutte le energie sull’ottimizzazione di quell’offerta – costi, margini, distribuzione, campagne di marketing – e a concentrarsi su pochi grandi clienti. Ma l’eccesso di focus genera miopia.
BlackBerry, con la sua tastiera QWERTY e il servizio push-email, pensava che il valore risiedesse nel “feel” dell’hardware e nella sicurezza end-to-end; nel frattempo Apple ridefiniva il telefono come piattaforma di servizi e app.
L’errore non fu solo tecnologico: fu di modello di business. Un modello orientato alle licensing fee con i carrier risultava perfetto prima dell’era dei dati illimitati, ma divenne obsoleto quando gli operatori decisero di monetizzare la vendita di traffico dati e di app proprie.
I segnali di allarme c’erano tutti: crescita esplosiva del traffico Internet mobile, impennata negli investimenti degli sviluppatori su iOS, calo della marginalità sui dispositivi hardware. Innovare il modello di business significa sperimentare nuove fonti di ricavo – subscription, usage-based pricing, marketplace – prima che il core diventi commoditizzato. Richiede la stessa disciplina del prodotto: ipotesi, MVP, metriche, kill decision. Richiede, soprattutto, mentalità strategica.
Le organizzazioni che crescono più rapidamente riescono a sacrificare i loro prodotti, tecnicamente a cannibalizzare internamente prima di quanto lo possa fare la concorrenza esterna: Amazon abbandona regolarmente linee profittevoli per lanciare modelli ad abbonamento (Prime, AWS); Netflix ha ucciso il DVD rental quando ancora cresceva.
Il momento di cambiare non è quando i numeri crollano, ma quando sono ancora solidi: solo allora hai cassa, brand e talenti per sostituire l’asset principale senza panico. La vera domanda strategica non è “quanto possiamo estrarre dal prodotto attuale?”, ma “che cosa lo renderà irrilevante e come possiamo essere noi i primi a farlo?”.
Per approfondire puoi leggere 5 segnali per capire quando la tua strategia aziendale sta fallendo e come fare un pivot di successo.
2. Quando cambia architettura (sales driven → product led), cambiano anche la metriche fondamentali
BlackBerry passò dall’essere un’azienda hardware-centrica con cicli di refresh annuali, metriche di produzione e gross margin superiori al 50%, a tentare un giro di boa verso software e servizi. Tuttavia continuò a misurare i progressi con metriche obsolete come:
- quota di mercato handset,
- unità vendute,
- fatturato device.
Il risultato fu una distorsione di priorità.
Nel software le metriche principali sono
- l’adozione da parte degli utenti (MAU/DAU),
- la retention (e il churn)
- l’ARR;
- in un modello “platform” conta il numero di sviluppatori
- la densità di applicazioni per categoria
Il passaggio dall’ingegneria meccanica ed elettronica all’ingegneria di prodotto (API, UX, toolchain) implica un diverso ciclo di delivery: rilasci settimanali, feature flag, continuous integration.
Senza un cambio esplicito delle metriche, i team restano ancorati a obiettivi incompatibili con il modello di business. Le aziende che riescono in questa trasformazione come Adobe (dai boxed-product alle subscription), Microsoft (da licenze perpetue a cloud) – ancorano i bonus e la misurazione delle performance alle metriche software anni prima che il fatturato hardware declini.
Inoltre riallineano la cultura: dall’eccellenza nella supply chain alla centralità dei feedback degli utenti.
In pratica, se il CFO continua a guardare il cost-of-goods-sold mentre il CTO parla di NPS (anche se me non piace), l’azienda vive un cortocircuito di governance. Ridefinire le metriche non è cosmetica della strategia: è un cambiamento di linguaggio che orienta capital allocation, incentivi e percezione del rischio. Solo così la traiettoria economica segue la traiettoria tecnica.
3. Diventare Innovation first
Nel mondo high-tech i brevetti funzionano come fossero serbatoi di ossigeno in alta quota: forniscono aria quando serve difendersi o monetizzare innovazioni passate. RIM dimostrò maestria nell’usare il proprio portafoglio per bloccare concorrenti minori e attrarre le compagnie telefoniche, ma la vertenza con NTP fra 2001 e 2006 fu una batosta. Pagare 612 milioni di dollari per una causa persa drenò cassa, ma soprattutto spostò l’attenzione dei founder dalla roadmap di prodotto alla sala del tribunale.
Ogni board-meeting veniva monopolizzato da documenti legali anziché da prototipi. I brevetti sono un mezzo, non un fine; servono a comprare tempo, non a definire la strategia. Se litigare in tribunale diventa la l’attività principale si crea “innovation debt”: ingegneri senior convocati come periti, budget R&D destinato a consulenze legali, culture of fear in cui il rischio maggiore è infrangere IP anziché disattendere bisogni clienti.
Nell tech company questa pratica è comune e se usata bene è molto utile. Qualcomm usa l’enforcement come revenue stream ma reinveste oltre il 20% in R&D, mantenendo i propri modem all’avanguardia; Nokia, dopo la stagione di guerre dei brevetti, non è più riuscita a re-ingegnerizzare il proprio brand mobile, finendo per relegare l’IP a licenza passiva.
L’antidoto è una politica di “innovation first, litigation last”: brevettare tecnologie critiche, sì, ma con chiara road-map di prodotto, sunset dei patent troll e KPI che privilegiano rapidità d’iterazione. Dopo tutto, nessun contenzioso salverà un business model sorpassato.
4. Adottare una struttura di governance che comprenda la disruption
La co-leadership Lazaridis-Balsillie funzionava a meraviglia finché l’azienda era uno scale-up hardware: un CEO tecnico per la vision di prodotto, un CEO commerciale per la finanza e i contratti con gli operatori.
Il patto implicito era divisione netta delle competenze e un allineamento valoriale legato a una missione comune di “mettere email in tasca a ogni professionista”.
Quando la curva di crescita dell’hardware decelerò e l’ecosistema software-centrico prese il sopravvento, le stesse regole di governance diventarono trappola. Il modello duale, privo di un singolo “tiebreaker”, generò paralisi decisionale: la scelta fra continuare con i dispositivi o pivotare sui servizi richiedeva velocità, non compromesso iterativo.
Le aziende che cavalcano la S-curve tecnologica richiedono meccanismi di governance adattivi: comitati d’innovazione separati dalle Business Unit core, advisory board con competenze adiacenti, meccanismi di voto che premino la sperimentazione rapida.
Guardiamo ad Apple post-Jobs: la successione fu accompagnata da un riassetto dei ruoli esecutivi, con delega chiara a Tim Cook per operations e a un triumvirato di VP per hardware, software, servizi.
Microsoft, con il passaggio da Ballmer a Nadella, ha ricalibrato il consiglio d’amministrazione inserendo esperti cloud e venture, allineando la governance alla strategia Azure.
In pratica, si allentano i processi di controllo, si ridefiniscono il perimetro delle accountability e implementare team che tollerino il rischio. Se l’org-chart rimane scolpito nella pietra mentre il contesto si liquefa, l’azienda si blocca nella terra di nessuno: troppo lenta per difendere il core, troppo rigida per esplorare il nuovo. Ti invito per questo a guardare
Altri film di Business Strategy su Netflix
Se ti è piaciuto “BlackBerry” ecco alcuni titoli simili che – nel momento in cui scrivo – puoi trovare su Netflix e che toccano temi di business, innovazione e storie imprenditoriali:
The Playlist (Miniserie, 2022): La storia romanzata della nascita di Spotify e delle sfide affrontate dal suo fondatore Daniel Ek e dai suoi partner per rivoluzionare l’industria musicale con lo streaming legale.
The Social Network (Film, 2010): Un film acclamato che narra la controversa storia della fondazione di Facebook da parte di Mark Zuckerberg ai tempi di Harvard. Mostra l’idea geniale, le battaglie legali e i tradimenti che hanno accompagnato la nascita di uno dei social media più influenti.
Big Vape: ascesa e caduta di Juul (Docuserie, 2023): Questa docuserie racconta la storia della startup di sigarette elettroniche Juul, che da improbabile idea è diventata un’azienda multimiliardaria, per poi affrontare un crollo spettacolare a causa di controversie e problemi di salute pubblica. Juul voleva diventare la Apple delle sigarette.
Il Codice da un Miliardo di Dollari (Miniserie, 2021): narra la vera storia di due sviluppatori tedeschi che negli anni ’90 creano Terravision, un precursore di Google Earth. Anni dopo, affrontano una battaglia legale multimiliardaria contro Google, accusandola di aver violato il loro brevetto per sviluppare il suo sistema di mappatura globale.
