Hey, buon lunedì,
Questa cosa di fare i workshop credo che oramai sia un pochino abusata.
Lascia che ti confessi una cosa, il fatto che qualcuno voglia fare un workshop non è un buon segnale, è piuttosto un tentativo disperato di riportare il progetto sulla giusta rotta, di sistemare qualcosa che non funziona: il team.
Sia chiaro, chi mi conosce sa che io adoro condurre workshop, anzi posso dire che mi sono specializzato nel progettarli, venderli e condurli, soprattutto in organizzazioni complesse ed enterprise.
E questo non è un modo facile per far soldi e lavorare solo il giorno del workshop, anzi… Per preparare un workshop sono necessarie tante ore di lavoro di preparazione, design e negoziazioni con i manager per essere sicuri di ottenere il massimo impatto dal poco tempo a disposizione.
È vero: una volta progettata la ricetta, il workshop è replicabile. Per questo insegno la ricetta del mio Design Sprint e consegno le slide del mio JTBD Design Sprint solo agli Alumni che partecipano al Programma di Accelerazione Strategica in STRTGY.
Ma nel 99% del tempo i workshop suppliscono a una, o più, disfunzioni del team.
La prima grande disfunzione è che spesso non c’è un team. Esiste solo un gruppo di persone con una patata bollente in mano che deve produrre un qualsiasi output prima del prossimo SAL (stato di avanzamento lavori). Non sa da dove iniziare, ne dove arrivare…
La seconda, e forse la più importante è comprendere che ogni progetto di innovazione è un mini progetto di change management. Sempre.
È impossibile innovare se le persone continuano a lavorare nello stesso modo. Ma per cambiare davvero non basta che sia l’amministratore delegato a imporlo. È necessario prima che, aprendo il frigorifero dell’organizzazione, ci si assicuri che siano presenti tutte gli ingredienti per la torta.
- Visione – Perchè lo stiamo facendo?
- Competenze – Abbiamo tutte le skills necessarie?
- Incentivi – Qual è la ricompensa per l’impegno?
- Risorse – Abbiamo strumenti, budget e tempo a sufficienza?
- Piano d’azione – Chi fa cosa, per quando?
Questo modello è stato rappresentato per la prima volta da Mary Lippitt, presidente dell’Enterprise Management Group ed è conosciuto come il “Model for Managing Complex Change”.
Come vedi solo avere tutti gli ingredienti ti assicura il successo.
Altrimenti tutti gli altri portano a un vicolo cieco o quantomeno a sgradevoli sensazioni che sono sicuro tu abbia già sperimentato.
Quanti progetti falliti riesci ora a spiegarti?
Hai tutti gli ingredienti per il prossimo progetto?
Basta Workshops!
In una situazione ideale in cui l’organizzazione abbia già tutti gli ingredienti i workshop sono perfettamente inutili perché tutti dovrebbero essere in grado di co-operare.
Se c’è una visione, ci sono le competenze, gli incentivi sono chiari, le risorse ci sono, e soprattutto c’è un piano d’azione. Non resta che mettersi al lavoro e consegnare il proprio “pezzettino” nel rispetto delle scadenze. Ogni pezzettino cadrà perfettamente come nel primo livello di Tetris…
Cosa succede se manca qualcosa? Bisogna incontrarsi…
Ci si riunisce perché
- non è chiara la direzione
- perché non è chiaro chi fa cosa o se c’è budget per un professionista esterno
- chat private con “chi-me-lo-ha-fatto-fare”…
- carichi mal distribuiti e lavoro fino a tardi
- il PM che fa solo finger pointing…
Ma poi… non dovevamo vederci per farlo insieme?
Ed ecco come si trasforma il lavoro. Guarda questo grafico che ho disegnato per te.
Il workshop arriva nel calendario e la pressione esce dalla pentola con un fischio liberatorio… Possiamo passare il tempo a fare altro in attesa del workshop.
Ti è familiare?
Check-in vs Workshops
C’è una sottile differenza che penso sia critico avere presente soprattutto in questo periodo storico nel quale più della metà dei team non è fisicamente presente in ufficio e i workshop remoti si avvicinano come qualità dell’output a quelli fisici ma a una velocità decisamente più bassa.
È la differenza è quella tra collaborare e cooperare.
Collaborare significa infatti “Partecipare attivamente insieme con altri a un lavoro per lo più intellettuale, o alla realizzazione di un’impresa, di un’iniziativa, a una produzione… (Treccani)
Cooperare significa invece “contribuire con l’opera propria al conseguimento di un fine” (sempre Treccani)
Cosa succede quando si ha la possibilità di collaborare solo in un workshop? Che si è solamente spostato il problema avanti e con quello anche le scadenze.
Incontrarsi per lavorare insieme, in riunioni non strutturate che vengono erroneamente chiamate workshop o peggio ancora “co-creazione”, significa lavorare a una frazione della velocità possibile.
Un team di 6 persone lavorerà a ⅙ invece che a 6× se sono tutti bloccati in una stanza a cercare di colmare uno dei gap di cui parlavo prima.
Cooperare invece è qualcosa di più. Richiede autonomia, disciplina, agilità e capacità di avere impatto.
Le persone che lavorano con te sono lì perché arricchiscono il team di competenze che sarebbe impossibile trovare, con la stessa qualità e velocità di esecuzione, in una sola persona.
Immagina come sarebbe lavorare se tutti potessero lavorare in autonomia e incontrarsi spesso ma per brevissimo tempo semplicemente per fare un check-in?
Nei check-in non bisogna lavorare nel progetto ma sul progetto per assicurarsi che tutti abbiano le risorse per concluderlo nel migliore dei modi.
Quindi basta davvero i Workshop?
Nemmeno per sogno! I Workshop sono la medicina meno costosa per
- ridurre le disfunzioni nei team
- colmare il debito tecnico e progettuale
- restituire indipendenza ai singoli membri del team permettendo a tutti di avere la stessa qualità e quantità di informazioni
I Framework e i Canvas sono le vitamine -> da soli servono a poco se non ad accelerare le reazioni.
I Workshop sono gli antidolorifici -> quando qualcosa non va, ne prendi uno, stai subito meglio e puoi migliorare quello che stavi facendo.
Tu come la vedi?
Buona cooperazione.
👋🏻