№ 56

Cortocircuito

5:39 di lettura — Clubhouse, un suo competitor e il percorso più breve tra Produzione e Consumo
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Hey, buon lunedì!

Qualche giorno fa una lettrice della newsletter mi ha scritto una mail per chiedermi di entrare in Clubhouse perché in una stanza si parlava di quanto fosse stato utile per loro utilizzare il FOCUS PLANNER per gestire meglio il proprio tempo.

Purtroppo non ho potuto accettare l’invito perché ho un telefono Android e per il momento il social network è dedicato solamente ai possessori di un iPhone. Ci sono solo entrato un paio di volte usando l’iPhone della mia fidanzata. Mi è piaciuto.

Ho fatto un po’ di riflessioni, non su Clubhouse in particolare, ma in generale su come si produce valore e si consumano esperienze. Le ho messe per iscritto.

Siamo tutti delle media company

Non è mai stato così facile nella storia dell’umanità pubblicare qualcosa che tutto il mondo potesse leggere, ascoltare, guardare… consumare.

 

  • Non bisogna più stampare i testi su carta -> basta un blog
  • Non bisogna più stampare le foto -> basta pubblicarle online
  • Non serve più uno studio di registrazione per registrare un audio o un video -> basta il telefonino e un servizio di streaming

 

Chiunque ha voglia di dire qualcosa può farlo al più basso costo possibile e, grazie ai progressi tecnologici, con una qualità altissima. È fantastico. 

Ma ho usato la parola “company” per una ragione specifica. Produrre contenuti significa immettere nel sistema un globulo rosso che trasporta ossigeno in un’arteria che pompa a volumi sempre più impressionanti. 

Potresti produrre contenuti intenzionalmente con lo scopo di creare valore per te oppure, che tu lo voglia o no, qualcuno ci farà dei soldi aggregando e distribuendo quegli stessi contenuti al tuo posto. La magia di Internet è quella di non essere mai un gioco a Somma Zero.

Impacchettare e spacchettare

Il problema dell’enorme quantità di contenuti prodotti è che diventa costantemente più difficile trovare quello che cerchi o semplicemente trovare contenuti di buona qualità.

Puoi pubblicare i tuoi articoli sul blog… ma chi ti viene a leggere?

Puoi avere la tua musica scaricabile… ma chi ti viene ad ascoltare?

Le tech companies hanno iniziato a capitalizzare questa necessità aggregando l’offerta e rendendola disponibile in modo strutturato.

Google è il primo aggregatore al mondo di qualsiasi contenuto pubblico disponibile in rete. Se vuoi che i tuoi contenuti vengano consumati più frequentemente devi apparire il più spesso possibile tra i risultati di ricerca. Google ha quindi impacchettato la domanda e la distribuisce secondo le sue regole. 

Google è bravo anche a spacchettare la domanda spostando su Map i contenuti che hanno una posizione geografica. Su News le notizie. Su Youtube i video. Su Podcast gli audio. Su Play Store le app… Impacchetta tutto nella pagine dei risultati e per rispacchettare poi pian piano tra le notifiche. Tu crei, lui mette in ordine e distribuisce, e ovviamente si prende una fetta della torta. Lui vince -> tu vinci -> il consumatore finale vince (vedremo tra poco che questo circuito sarà sempre più corto).

Ovviamente non c’è solo Google. Ad esempio Spotify aggrega tutta la musica immaginabile (e anche i podcast)  e li rende disponibili in maniera algoritmicamente organizzata perché altrimenti sarebbe troppo noioso cercarli da solo altrove.

Netflix aggrega le migliori serie tv. 

Farfetch aggrega i migliori negozi del mondo.

 

Ci sono solo due modi per fare soldi: impacchettare e spacchettare.

—Jim Barksdale via HBR

 

Non parlo soltanto di contenuti. Questo fenomeno avviene in ogni industria, anche nella tua.

Alcuni giornali fanno il “panino” (allegati) per aumentare artificiosamente la distribuzione.

Imprenditori creano ogni giorno pacchetti di servizi e prodotti per raggiungere più clienti.

Via via che il beneficio incrementale diminuisce altri imprenditori raggiungono economie di scala nella iper specializzazione e nel migliorare la qualità delle singole micro esperienze. Diventano bravi a spacchettare features che da sole possono esprimere un potenziale di business più grande.

Famosa è questa immagine, via A16Z,  che ti allego che mostra come alcuni servizi oggi famosi sono nati spacchettando letteralmente Craigslist e spostando valore dalla Piattaforma a tanti Verticali.

La distanza tra produzione e consumo non esiste più

Impacchettando e spacchettando…  il mercato diventa una una molla che si comprime e si espande, ma sai cosa succede? 

Facciamo un esperimento.

Prendi la tua penna a scatto, svita il tappo e prova a schiacciare la molla tra le dita.

Dopo che l’hai fatto per un paio di volte non tornerà più come prima. Probabilmente sarà più corta (se non l’hai tirata troppo).

Il tuo pollice e il tuo indice sono la produzione e il consumo. Via via che stringi diventano sempre più vicini.

Nessuna azienda sul pianeta è immune alla pressione che l’evoluzione tecnologica crea naturalmente nel sistema quando rende semplice e poco costoso creare valore. 

Si chiama disruption, uno dei concetti più sottovalutati e male interpretati di sempre da imprenditori, marketers e strateghi.

Nella sua ultima Ellissi, Valerio Bassan ha parlato di creator economy, un termine che a lui non piace tanto e nemmeno a me perché lascia fuori dall’inquadratura un pezzo importante che è la tecnologia che mangia tutto…

Quest’altra sua definizione è più precisa: “economia della monetizzazione individuale”.

Non devo più vendere i contenuti a un editore, basta attaccare Stripe al tuo articolo o attivare la funzione shopping nel tuo account Instagram.

Produttori e consumatori vivono nello stesso server

Nell’ultima newsletter di Antonio Bellu, Letmetellit, rubo e incollo i link alle news sulle ultime acquisizioni. 

 

Cos’hanno tutti in comune? Ogni brand ha comprato ha comprato il sistema per espandere la propria audience.

Francesco Morace chiamava quest’audience: Consumautori. “Non semplicemente target di mercato, ma produttori di possibilità inedite. Creativi che si scambiano le loro esperienze secondo mood ambivalenti che fanno impazzire gli alfieri del marketing della segmentazione e che pongono al centro l’esperienza di ogni singolo individuo”.

Era il 2016, era ancora tutto troppo complicato. Solo oggi puoi fare copia incolla di uno script per attivare la monetizzazione.

Ma non si parlava di Clubhouse?

Si esatto. Clubhouse è una conseguenza inevitabile di questo impacchettamento dell’offerta. Prima che lo faccia qualcun altro (c’è già un competitor, nello sport, si chiama Locker Room).

Hai ancora la molla tra le dita? Fai toccare il pollice con l’indice. Crea il cortocircuito.

In Clubhouse puoi consumare un podcast mentre lo crei.

Penserai mica che Clubhouse sia una No-Profit?

In un post nel blog ufficiale annunciano: “Nei prossimi mesi stiamo pianificando di lanciare i primi test che permetteranno ai creators di venire pagati direttamente attraverso funzionalità come tipping (mance), biglietti e abbonamenti.”

Non è mai stato così veloce creare valore e iniettarlo nel sistema. Ogni persona con un account su un social network è contemporaneamente cliente e agenzia di PR.

Tre domande per la settimana.

  1. Come posso aggregare l’offerta per creare una nuova categoria?
  2. Come posso creare un verticale dove posso essere il migliore?
  3. Qual è la community dove i membri possono essere contemporaneamente clienti e PR?

 

Fatti sentire!

Buon lavoro!

👋

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